domenica 19 ottobre 2008

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De André, il film

Il documentario «Effedia - Sulla mia cattiva strada» di Teresa Marchesi

«Un poeta rock, sempre dalla parte dei perdenti»
Il cantautore «svelato» da Vasco, Pivano, Wenders

MILANO — Non aveva camicie bianche né indirizzi in tasca, segreti in banca né voglia di farla franca... Non aveva la faccia tosta, ma un bel volto malinconico, smitizzato da contagiose risate. Quello che Fabrizio De Andrè non aveva era il comune senso della vita, della morte, della morale. Era un poeta, si dirà. Ma lui, da uomo di spirito, negava anche questo. «Benedetto Croce sosteneva che fino a 18 anni tutti scrivono poesie, poi quelli che continuano a farlo o sono poeti o sono cretini. Per non rischiare, preferirei chiamarmi cantautore», spiegava ironico.

«E invece Fabrizio è tra i grandi poeti del rock, anzi per me è un santo», assicura oggi Wim Wenders, che lo colloca nel suo empireo musicale, accanto a Dylan, Morrison, Cohen, Brel. E in Palermo Shooting, il suo nuovo film tra poco nelle sale, inserisce come un manifesto Quello che non ho. Wenders confessa l'emozione De Andrè. E a condividerla con lui Nanda Pivano e Fiorello, Vasco e Zucchero Castellitto e Salvatores. Tutti riuniti in Effedia - Sulla mia cattiva strada, documentario di Teresa Marchesi, il 29 ottobre al Festival del film di Roma, dal 31 ottobre in dvd per la Sony. Un ritratto toccante, una lettera d'amore dedicata a tutti i «missionari di De Andrè del mondo». Marchesi, inviata del Tg3, ha attinto alle tante interviste, molte inedite, realizzate con l'amico Fabrizio, ma ha anche preso a prestito un paio di brani di Vincenzo Mollica e usato materiali d'archivio Rai (servizi di Luzzatto Fegiz) e della Fondazione De Andrè, produttrice del film.

«E' un lavoro che andava fatto, un documento in dvd su Fabrizio non esisteva», spiega Dori Ghezzi, vedova del cantautore genovese, auspicando che Effedia (acronimo della Fondazione) aiuti a far uscire dai nostri confini l'immagine di Fabrizio. Un progetto sinergico con la mostra multimediale su De Andrè che si aprirà a Genova, a Palazzo Ducale, il 30 dicembre per i 10 anni della sua scomparsa, a 59 anni, l'11 gennaio 1999. Celebrazioni che, annuncia sempre Wenders, culmineranno in un grande concerto a New York. Intanto, a svelare un Fabrizio privato e politico, è il film di Marchesi. De Andrè racconta il suo essere da sempre dalla parte dei perdenti: «Già alle medie stavo con i Troiani contro gli Achei». Contro la guerra, la sua feroce stupidità, lui, anarchico schierato, scrive La guerra di Piero, La ballata dell'eroe... Contro l'emarginazione canta ladri e prostitute, veri eredi del regno dei Cieli. A Michele Aiello, «immigrato finito in galera», dedica La ballata del Michè. A Pasquale Cafiero, secondino a Poggioreale, Don Raffaè.

Vasto il capitolo donne. Da Marinella, che grazie a Mina gli dà i proventi per continuare a scrivere canzoni, alla «scandalosa» Boccadirosa, a Chiara di Via del Campo. «Mi ero invaghito di lei, dopo un po' ho scoperto che si chiamava Giuseppe. Non è successo niente, ma ho contribuito al suo desiderio di diventare donna». E poi la Nanda. Alla Pivano chiede di poter trasformare in canzoni alcune poesie di quella Antologia di Spoon River da lei tradotta. Nel '93, al Premio Tenco, Nanda dichiara: «Si dice che Fabrizio sia il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano?». Tentato da un Gesù più umano che divino, compone Preghiera in gennaio, giudicata blasfema perché un «Dio di misericordia» accoglie in Paradiso i suicidi, e rilegge i Vangeli apocrifi ne La buona novella, proibito in radio per due anni, sdoganata da Radio vaticana che riconosce sotto il taglio laico l'assoluto rispetto per la rivoluzione di Gesù. Perdono, è il messaggio che De Andrè mette in atto.

Sequestrato con Dori dai banditi sardi, cerca di capirne le ragioni: «L'arrivo di stranieri ricchi in una terra povera ha sconvolto un ordine antico. Il sequestro è un atto ignobile, non lo giustifico intellettualmente ma sentimentalmente sì». Al popolo sardo dedica un album, in copertina un pellerossa. Gente di riserva, vittime di dominazioni. «Colombo non ha scoperto l'America. Gli indiani ci vivevano già. Il 12 ottobre 1492 è la data d'inizio del loro sterminio. Tracce di quella cultura pellerossa si possono trovare tra le minoranze, i nomadi». E su quelle parole scorrono le immagini del campo rom di Ponticelli, barbarie 2008. «Fabrizio aveva anticipato ogni cosa, forse per questo è così in sintonia anche con i giovani di oggi», assicura Marchesi. De Andrè l'abbiamo cantato tutti, lo canteranno ancora. Ci prova Battiato, ma poi si commuove e si interrompe. Ci prova Fiorello, che improvvisa Bocca di rosa. «Doveva essere un bel "cazzaro" — ride —. Te lo immagini a cena con il suo amico Villaggio? Non so cosa avrei dato per esserci».

Giuseppina Manin


Fonte della notizia: corriere.it
Sito web: www.corriere.it



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